Silvia

Questa è una storia di impegno e sacrificio, ma anche superficialità e imbarazzo. Silvia Bertagna – che è mia cugina altrimenti non saprei nulla di tutto questo – avrebbe potuto partecipare nuovamente alle olimpiadi invernali, ma qualcosa è andato storto.

Si è fatta male. Due volte dopo Sochi di quattro anni fa. Due interventi al ginocchio e due riabilitazioni andate a buon fine, tanto da riportarla sulle piste da sci. A Silvia Bertagnafare salti, ovviamente, la sua specialità. Per cercare di recuperare il tempo e i punti in classifica si è data da fare, anche i salti mortali, molto simili alla sua specialità. Due settimane fa, negli Stati Uniti si è giocata tutto: o dentro o fuori. Alle olimpiadi vanno le prime ventiquattro. Ma niente da fare: è arrivata al numero 26. Senza gli incidenti, ora sarebbe a Pyeongchang.

Passano due giorni e due atlete si ritirano. Quindi, lei avrebbe il posto. Solo che… la FISI (Federazione Italiana Sport Invernali) non opziona il posto. Non si sa se per disattenzione, dimenticanza o bieco calcolo economico (un’atleta ha pur sempre un costo). E così, Silvia, starà a casa. Non basta la qualificazione sulla pista, serve qualcosa in più, che nel caso specifico non è arrivato.

Ho parlato con mio zio. Era incazzato. A modo suo, senza urlare, ma dicendo. “In Italia funziona così. Burocrazia, soldi e tutti che pensano solo al calcio”.

Chiaro: non è nulla di fronte allo sfogo di un padre a cui uccidono un figlio o una figlia. E’ solo una storia.

 

 

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