La paura

Camminavo con Thomas in fondo al gruppo. Ultimi. Per aiutare il tempo a scorrere sui chilometri, ha deciso di fare una domanda: “Quali sono le tue cinque più grandi paure?”. La sua più difficile da gestire la chiama del 90%. Cioè di arrivare tanto vicino alla meta, ma di non riuscire mai a raggiungerla. Mi raccontava, ad esempio, di quella volta che è arrivato a due metri dalla cima di una vetta in scalata e si è bloccato.

Ora toccava a me. Gli ho detto che stava per iniziare l’estate e mi stavo chiedendo cosa mi sarebbe successo quest’anno, se sarei riuscito a fermarmi prima di fare l’ennesimo salto, gioco strano su qualche muretto o qualche altra cosa che portasse con sé il rischio di un mio dolore. Ho spiegato che la paura non è tanto nel farmi male, quanto piuttosto nel continuare a chiedermi se riuscirò a capire “quell’istante in cui fermarmi”. Lo conosco quando arriva; è un un brivido di un attimo che mi fa lanciare nel gesto, a volte nel vuoto. So che lì dentro c’è tanta vita, energia, forza, ma non sempre mi fermo a pensare che il mio corpo posso sostenerne le conseguenze. Thomas si è girato verso di me e mi ha detto: “Ah, la paura dell’incoscienza!”. Gli ho sorriso. Aveva trovato la parola giusta.

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